CONQUISTATI DAL BEN NEVIS
- Dario Eynard
- 1 mar 2023
- Tempo di lettura: 3 min
Uno degli ultimi giorni del 2022 sono stato invitato dal presidente generale del CAI Antonio Montani a partecipare, insieme ad un altro ragazzo bergamasco, Fabio Olivari, all’International Scottish Winter Climbing Meet. È un importante evento organizzato dal The Scottish Mountaineering Club, a cadenza quadriennale. L’incontro si sarebbe tenuto in Scozia durante l’ultima settimana di febbraio.
Con enorme piacere ho accettato l’invito. Non conoscevo Fabio prima di questa occasione, ho avuto modo di scalare con lui qualche volta prima dell’evento e subito mi sono sentito in sintonia.

Il 25 febbraio, giorno della partenza, ci spostiamo in direzione Fort William, un piccolo paese posto alle pendici del Ben Nevis, la montagna più alta delle Isole Britanniche. All’evento partecipano rappresentanti di altri stati quali Singapore, Corea del Sud, Germania e Polonia. Così trascorriamo cinque giorni dormendo alla CIC Hut, ai piedi della parete Nord del Ben Nevis.
Fabio Olivari scala con Ryan Balharry.Scott Grosdanoff, ragazzo scozzese di 29 anni, è invece il mio compagno di avventura. Con lui in 5 giorni di arrampicata portiamo a termine la salita di 6 vie sui vari anfratti della parete nord. Alcune vie leggendarie come la Point Five Gully, altre più ricercate, specialmente constatando le condizioni della parete molto delicate come Albatross.
La siccità che pervade l’Europa durante quest’inverno ha colpito anche la Scozia. La carenza di neve si fa sentire specialmente sulle pareti più basse, costringendo così a limitare un po’ lo spazio d’azione. In rispetto alla rigida etica scozzese, inoltre, è moralmente vietato applicare la progressione in dry-tooling, ossia l’uso di picozze e ramponi su roccia, lungo pareti che non siano almeno “sporche” di ghiaccio. Durante la nostra permanenza ci limitiamo dunque limitati a realizzare progetti nella porzione superiore della parete Nord del Ben Nevis.
La sera prima dell’ultima giornata di scalata assistiamo dalla CIC Hut al fenomeno dell’Aurora Boreale. Spesso sono le piccole cose, per alcuni scontate, che riescono a sorprendere. Tanto sono incredulo quanto lo sono le persone del posto: le relative basse latitudini della zona rendono l’evento estremamente raro. Scott mi confessa che è la seconda volta che la osserva in vita sua.

Il giorno successivo partiamo senza una meta ben precisa, con in testa una parete che mi aveva incuriosito un paio di giorni prima passandoci vicino. Il nome del torrione è “The Comb”. Alla base il mio sguardo viene attirato da una linea logica, così la propongo a Scott e lui accetta con entusiasmo.
Scaliamo la via fino alla sommità del Ben Nevis, sono circa 250 metri di parete, 6 tiri e un breve tratto in conserva. Le difficoltà si attestano intorno al VII scozzese abbastanza continuo su tutta la via. Non portiamo a casa nulla di eccessivamente impegnativo, però su quella parete riesco a trovare i tiri di misto più estetici che abbia scalato in tutto questo viaggio. La linea è logica, elegante e le protezioni non sempre banali, soprattutto su un tiro di placca, la quarta lunghezza, solcata da un’esile fessura che proteggo con un paio di terrier e un friend prima dell’uscita. Abbiamo chiamato questa nuova linea “Solar Wind”, un piccolo omaggio ai sorprendenti dettagli della vita, come l’Aurora Boreale. Questa nuova linea, vista la sua estetica e logicità, sarà presto aggiunta nel nuovo libro dedicato alle vie del Ben Nevis di Simon Richardson.

In rispetto anche all’etica scozzese, in parete non lasciamo nulla. Sono rimasto particolarmente sorpreso nel vedere come, anche le vie più gettonate, siano rimaste nello stato in cui i primi alpinisti le scoprirono. Su queste pareti è chiaro che, la volontà dell’alpinismo scozzese, sia quella di approcciarsi alla montagna come a chiedere il “permesso” di scalarla, con il desiderio di lasciare le uniche tracce di passaggio soltanto sui libri e nelle relazioni.
L’avventura scozzese è stata incredibile. Ci siamo cimentati in un terreno particolarmente insolito, rispetto alla mia esperienza sull’ Arco Alpino, che necessita di tecniche di protezione per noi più inusuali. Soprattutto abbiamo conosciuto dei nuovi compagni e degli amici con cui poter condividere future esperienze.
Un sentito ringraziamento al Club Alpino Italiano che mi ha offerto questa grande opportunità.


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