PRIMA SOLITARIA INVERNALE DELLA PARETE NORD DELLA PRESOLAMA VIA DIRETTISSIMA
- Dario Eynard
- 31 dic 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Alcuni desideri si fanno largo nella mente e diventano sempre più forti. Era l’inizio di settembre del 2021 quando mi sfiorò l’idea di tentare la prima solitaria invernale della parete Nord della Presolana. Inizialmente fu solo un pensiero, ragionavo sulla fattibilità della salita senza darci troppo peso. In poco meno di un mese divenne un chiodo fisso nella mia mente. Fu forse il momento in cui mi preoccupai di più: non di certo durante la salita, ma nel momento in cui realizzai che la volontà, perlomeno di tentare questa nuova solitaria, sarebbe stata più forte della mia capacità di desistere; fu il momento in cui capii che prima o poi sarei salito.
Il mio percorso con le arrampicate in solitaria è piuttosto recente. Riservo loro un approccio differente rispetto alle salite in cordata: non le ho mai considerate come un allenamento per prepararmi ad ascensioni più impegnative. Sono sempre stato mosso da un desiderio irrefrenabile e, quando questo diventava troppo grande, era giunta l’ora di approcciare la parete.


Questa salita sarebbe stata la prima solitaria invernale dell’intera parete Nord e, fra le tante possibilità, scelsi la via Direttissima: sale in modo estremamente verticale, dunque mi avrebbe dato meno problemi con il recupero del materiale; inoltre la Direttissima ha un notevole valore storico per questa parete.
Così mi ritrovo prossimo all’inizio dell’inverno del 2021. Le perturbazioni sono state abbastanza clementi, la neve caduta, non eccessiva, è stata spesso spazzata via dal vento nei punti più esposti, accumulandosi sul fondovalle, così la parete sembra essere abbastanza pulita e in perfette condizioni.
Lunedì 20 dicembre 2021, mi incammino verso l’invernale del Rifugio Albani, carico con un saccone da oltre 25 kg, in compagnia del mio amico Francesco Finazzi. L’indomani avrei attaccato la Via Direttissima sulla parete nord della Presolana. Molti pensieri si sedimentavano nella mia testa. L’idea di essere il primo a compiere una salita aiuta da un lato a motivare, dall’altro alimenta sempre quei dubbi e quelle perplessità che ti assalgono prima di un’uscita importante.


Compiere una prima però non può che rappresentare la ciliegina sulla torta, quell’ "in più" che permette di scegliere quale tra le tante possibili ascensioni affrontare. Ma da sola non sarebbe assolutamente sufficiente a spingere una persona a salire su una parete, da solo, d’inverno e nei giorni più corti dell’anno. Vi sono di base ragioni introspettive decisamente più profonde, intime. Ho sempre apprezzato una visione malinconica e romantica dell’alpinismo: le solitarie, ho già sperimentato, amplificano notevolmente questi stati d’animo. Compiere una solitaria invernale è forse lo strumento conoscitivo più grande con il quale mi sia mai confrontato.
Sono le ore 3:30 del 21 dicembre 2021. L’inverno è ufficialmente iniziato da poche ore e la mia sveglia interrompe il silenzio della notte. Con tutta calma mi sistemo e mi incammino verso lo spigolo NO insieme a Francesco. L’avvicinamento, nonostante sia breve d’estate, richiede qualche ora per via della neve molto farinosa.
Saluto Francesco con un abbraccio e mi incammino verso l’attacco della Direttissima. Ogni volta che ho voluto un po’ superare me stesso, ho sempre sentito un senso di apprensione che sistematicamente svaniva nel momento di intraprendere la scalata. Anche questa volta la pace, la tranquillità e il silenzio regnano incontrastati per tutta la prima giornata di arrampicata, tecnicamente la più impegnativa.
Approccio la parete con ramponi e piccozze. La sezione iniziale presenta una roccia a tratti delicata e gli appoggi utilizzati con i ramponi sono spesso differenti da quelli che si utilizzerebbero in arrampicata libera, maggiormente ripuliti. Così, alcune delle prese su cui faccio affidamento, si spaccano sotto i miei piedi, costringendomi a ponderare bene i movimenti. La progressione risulta lenta e a tratti pericolosa. Intanto le temperature si sono alzate e dopo i primi tiri decido di indossare le scarpette, velocizzando notevolmente la salita. Seguo il bellissimo diedro, a tratti quasi accennato, che caratterizza i due terzi della via. La chiodatura è abbondante ma non sempre molto affidabile. I tiri si susseguono uno dopo l’altro.
Sono nel giorno più corto dell’anno e il buio è presto dilagato ovunque. Le temperature si sono nuovamente irrigidite e la scalata diventa progressivamente più lenta. Giunge il momento di allestire il mio bivacco in parete, su una piccola cengietta che è in grado di ospitare una sola persona.
Il terrazzo su cui allestisco il bivacco è coperto dalla neve. Ne approfitto per scioglierne un po’, reidratarmi e cucinare la cena: ho portato dei tortelli in brodo, forse i migliori che abbia mai mangiato. Guardo il termometro: -10,0°C precisi; sono molto coperto e nonostante sia fermo non sento freddo, mi è andata bene.


Sdraiato nel mio sacco a pelo, sulla cengia innevata, mi ritrovo in una dimensione senza tempo. Un tappeto di nuvole si distende qualche centinaio di metri sotto di me, il tutto illuminato dalla luna piena. Le vette orobiche più prominenti forano il manto e definiscono l’orizzonte. Sopra di me le stelle, numerose, ferme. Il silenzio è intenso e la neve attorno a me contribuisce a renderlo tale. Solo qualche sporadica folata di vento invernale mi ricorda di trovarmi lì, vivo, appeso, a percepire la montagna e a confrontarmi con essa. Mi addormento di fronte a quell’incanto, e dormo profondamente per otto ore.
Alle 7:45 del secondo giorno, vengo svegliato dalla luce poco dopo l’alba. Ho dormito bene e mi sento riposato. Preparo il tè, sistemo il bivacco e sono subito pronto a ripartire. Oggi, superati i primi due tiri, mi aspettano sezioni un po’ più semplici, in compenso il saccone mi darà sicuramente più problemi per via della perdita di linearità della via.Alcune lunghezze più articolate mi costringono a suddividere il recupero del materiale in più step; altre lo hanno bloccato durante la risalita, imponendomi così di ridiscendere il tiro per togliere quel vincolo che impediva al saccone di procedere. Perdo molto tempo e le ore passano nuovamente veloci.
Delle due borracce d’acqua che mi sono portato dietro ne ho messa una dentro la giacca per tenerla più al caldo: con mia sorpresa, nonostante questa precauzione, entrambe si sono ghiacciate. Non sono riuscito a bere neanche un sorso d’acqua dalla colazione: decido di non perdere tempo e andare avanti.
Sono sull’ultimo tiro, costretto a riaccendere la frontale perché nuovamente è arrivato il buio. Esco sul Cengione Bendotti con un ulteriore tiro di corda, non fidandomi della consistenza della neve. Compio successivamente le calate dallo spigolo NO; la presenza di neve nella parte alta mi costringe ad abbandonare alcuni chiodi per potermi calare. Arrivato a metà dello spigolo NO, la sete è diventata tale che decido di ritirare fuori il fornellino e scaldarmi un po’ di neve con i sali: in questo momento non desidero altro. Arrivo alla base delle vie all’una di notte del 23 dicembre.
Capisco di esserci riuscito, di essere fuori, di aver realizzato un sogno inseguito da mesi. Un leggero senso di vuoto mi assale. Vedo la frontale di Francesco partire dal rifugio Albani nella notte, per venirmi incontro. Mi sento sereno.

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